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Molto Forte Incredibilmente Vicino - Recensione

23/05/2012 | Recensioni |
Molto Forte Incredibilmente Vicino - Recensione

Diretto da Stephen Daldry (“Billy Elliot”, “The Reader”, “The Hours), “Molto Forte Incredibilmente Vicino” è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo bestseller di Jonathan Safran Foer. Tratto da una sceneggiatura di Erich Roth (“Forrest Gump”, “Dietro la Verità”) è la storia del giovane Oskar Shell (Thomas Horn), bambino newyorkese, che all’età di nove anni perde il padre nell’attentato al World Trade Center dell’11  Settembre.
Curioso ed intelligente Oskar è stato allevato dal padre Tom (Tom Hanks) con un educazione giocosa piena di sfide e fantasiose cacce al tesoro, insegnamenti improntati ad un metodo, quello di un’indagine di tipo socratico, che attraverso compiti mentali ed ostacoli apparentemente insormontabili avrebbero dovuto aiutarlo nel combattere la solitudine e l’incapacità nell’instaurare relazioni con gli altri. Oskar, il cui nome è probabilmente un omaggio al protagonista di un altro capolavoro della letteratura, stavolta europea, “Il Tamburo di latta” di Günter Grass, fa i conti ogni giorno con mille paure e si muove sul sottile confine dell’autismo. Introverso, sensibile e a volte ossessivo, il bambino, proprio come nel romanzo dell’autore tedesco, con cui condivide l’esser testimone turbato della Storia, va in giro con un tamburello per allegerir lo spirito e scacciare le mille fobie.
Quando a distanza di un anno dal “giorno peggiore” Oskar trova tra i beni del padre un vaso blu contenente una chiave in una busta che reca come unico indizio la parola “Black” è convinto che questa sia in grado di riportare in vita il vivido ricordo del padre, sbloccare una sorta di porta simbolica che lo aiuti a capire perché egli doveva morire.
Determinato a mantenere vivo il legame con l’uomo che con gioia lo ha aiutato ad affrontare le sue paure più profonde, Oskar incomincia la più ambiziosa delle cacce al tesoro: recarsi in visita presso tutti i 472 “Black” sparsi nei cinque distretti di New York per vedere chi avrebbe potuto conoscere suo padre e scoprire cosa apra quella misteriosa chiave.
Con una tenacia sconosciuta agli adulti ed un’ostinazione che scivola sottilmente nell’ossessione Oskar elabora meticolosamente un piano, vive di programmi e regole, si aggrappa solo ai fatti concreti ed impara a superare i propri limiti. Lo aiuterà nella propria ricerca l’inquilino muto (Max von Sydow) che ha affittato una stanza nell’appartamento della nonna, anche lui testimone turbato della Storia ha perduto la parola nei bombardamenti di Dresda del 1945.
Romanzo di difficile traducibilità sul piano visivo “Molto Forte Incredibilmente Vicino” sembra aver perso nella versione di Stephen Daldry ed Erich Roth quella creatività ed originalità che erano certamente i meriti migliori di Jonathan Safran Foer. Nella volontà di spiegare ogni cosa, di non lasciare dubbi ed ambiguità Hollywood passa come uno schiacciasassi sul bel romanzo dell’autore americano limandone stranezze, asperità ed accenti bizzarri. Nell’intenzione di aprirsi al più vasto pubblico possibile, di strizzargli maliziosamente l’occhio seziona la parte forse più claustrofobica del libro ed inserisce la trama nella tradizione Hollywoodiana dei rapporti tra padri e figli, delle lezioni di vita e degli ostacoli da superare per poter crescere, perdendo di fatto quell’ironia ed anticonvenzionalità che rendevano scorrevolissimo il lungo romanzo.
L’avventura donchisciottesca di un bambino curioso e fuori dal normale, che inventa strumenti fantastici, sogna l’astrofisica e scrive lettere d’ammirazione a Stephen Hawking si tramuta nell’ossessione disperata di un bambino malato e rabbioso che instaura una propria empatia con lo spettatore puntando solo sull’angoscia e sul dolore.
Persino la ricerca finisce in certe occasioni con l’annoiare, riportando interesse solo nei bei duetti tra il bambino e l’anziano muto che ha deciso di accompagnarlo. Superba la performance di Max von Sydow, la cui interpretazione gli è valsa una nomination all’Oscar come Migliore attore non Protagonista, ed altrettanto affascinanti i dialoghi tra i due, fatti di urla, grida e mani alzate in cui è scritto “Yes” e “No”.

Daniele Finocchi

 


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